Pensata per contrastare i sintomi dell’intestino irritato, la dieta FODMAP è un regime alimentare che prevede l’eliminazione (inizialmente solo temporanea) di alcuni alimenti altamente fermentabili.
FODMAP è infatti l’acronimo di “Formentable Oligosaccharides, Disaccharides, Monosaccharides and Polyols” (oligosaccaridi, disaccaridi, monosaccaridi e polioli fermentabili) e consiste in una terapia dietetica diffusa dal gastroenterologo Peter Gibson e dalla ricercatrice Susan Sheperd della Monash University di Melbourne.
Benché sia abbastanza complesso condurre studi scientifici sull’efficacia di un regime alimentare, considerata la complessità di variabili da tenere in considerazione, il trattamento Fodmap sembra essersi rivelato efficace nella riduzione dei sintomi di alcuni disturbi gastrointestinali. Di conseguenza, questa dieta ha riscontrato il parere positivo della comunità scientifica per contrastare gonfiore addominale, flatulenza, diarrea o stitichezza e altre conseguenze di patologie che non prevedono attualmente protocolli ben definiti (come nel caso della sindrome del colon irritabile).
Ma in cosa consiste nello specifico e come funziona la dieta Fodmap? Ecco quali sono gli alimenti “proibiti” e tutto quello che c’è da sapere in merito.
Dieta Low Fodmap: come funziona e quali alimenti evitare
Il principio alla base della dieta Fodmap è quello che vede la fermentazione di alcuni alimenti, in particolare dei carboidrati a catena corta, come la causa dei più comuni disturbi intestinali. Questi infatti contengono le molecole sopracitate (oligo, mono e disaccaridi) che si rivelano meno assorbibili dall’intestino, risultando pertanto più difficili da digerire.
Al termine del processo di digestione, quindi, questi zuccheri (carboidrati) rimangono nell’intestino più a lungo, richiamando acqua. In questo modo favoriscono il processo di fermentazione da parte dei batteri intestinali, provocando la formazione di gas, gonfiore e altri disturbi.
I cibi che favoriscono la fermentazione possono essere suddivisi in diverse categorie in base alla molecola di zucchero che contengono. In particolare, possiamo distinguere le seguenti categorie:
Fruttosio: monosaccaride contenuto nel miele e in alcuni tipi di frutta come mango, pesca, anguria, mela, pera, frutta secca e disidratata. Se legato al glucosio, si trasforma in saccarosio (il comune zucchero bianco), contenuto in molti alimenti industriali.
Lattosio: disaccaride presente nel latte di tutti i mammiferi, pertanto include tutti gli alimenti derivati (formaggi e latticini).
Galattani: oligosaccaridi contenuti in alte quantità nei legumi, in particolare soia, lenticchie e fagioli, e in alcune verdure (principalmente nelle crucifere come broccoli e cavoletti di Bruxelles).
Fruttani: polimeri di fruttosio noti con il nome di inulina, contenuti nei cereali e in molti vegetali, tra cui cipolla, carciofi, asparagi, aglio, porro.
Polioli: dolcificanti come xylitolo, sorbitolo e maltitolo utilizzati prevalentemente in ambito industriale, con effetto lassativo, che sono però anche contenuti naturalmente nei funghi e in alcuni frutti.
Secondo la dieta Fodmap, eliminare temporaneamente tutti gli alimenti che rientrano in queste categorie permette di ridurre i sintomi derivati dalla fermentazione degli zuccheri, fino a ottenere un generale miglioramento della condizione gastrointestinale.
In questo senso, il regime Fodmap prevede 3 fasi d’intervento.
Le 3 fasi del protocollo dietoterapico
La premessa fondamentale che va fatta prima di scendere nel dettaglio delle tre fasi, è che l’adozione del regime Fodmap deve assolutamente essere guidato da uno specialista.
Si tratta infatti di una dieta molto complessa, che prevede una conoscenza approfondita della composizione biochimica degli alimenti e delle relazioni che si instaurano con l’organismo, pertanto solo un esperto dell’alimentazione è in grado di stabilire correttamente quali alimenti vanno eliminati e quali invece devono essere solo limitati.
Inoltre, è bene ricordare che l’eliminazione arbitraria di intere categorie di alimenti può condurre allo sviluppo di gravi scompensi alimentari. Di conseguenza, trasformare un protocollo dietoterapico in un regime alimentare fai da te può rivelarsi estremamente pericoloso per la salute.
Si dovrebbe quindi optare per la dieta Fodmap solo in presenza di una malattia gastrointestinale e solo dietro suggerimento del proprio nutrizionista, dietologo o dietista al fine di ridurre i sintomi. In questo caso, il regime alimentare viene suddiviso in tre fasi.
La prima fase ha una durata che va dalle 4 alle 6 settimane, durante le quali vengono eliminati tutti i cibi Fodmap che causano malessere. Quando si iniziano a riscontrare i primi miglioramenti, si passa alla seconda fase che prevede la reintroduzione graduale e controllata di alcune categorie di alimenti, con l’obiettivo di individuare quelli più fastidiosi per la propria condizione e definire quantità e frequenza di consumo.
L’ultima fase, definita lifestyle, consiste nell’individuazione dello stile alimentare che dovrà essere adottato per tutta la vita. Individuati gli alimenti che causano problemi al proprio apparato digerente, quindi, il paziente dovrà essere in grado di condurre un’alimentazione consapevole e moderata per tenere sotto controllo lo stato infiammatorio del proprio organismo.
Inutile dire che, per essere efficace, la dieta deve essere abbinata a uno stile di vita sano in cui sia possibile limitare le fonti di stress.